"Enri ti è arrivato un messaggio leggilo pure, io parlo tanto e c'è anche da preparare cena" "No non me ne frega un cazzo del messaggio ed è quasi tutto pronto, continuiamo pure a parlare".
Cara...
Cara...
Poi torni a casa, con quelle sensazioni\convinzioni\consapevolezze di cui hai parlato poco prima, ma che sono in continuo dialogo con te stessa perché sono i lemmi con cui si esprime il tuo cuore sempre. Tradurle in linguaggio inizialmente appare come un'impresa: temi di non renderle appieno. Per restituirle esattamente profonde e nella forma in cui sono, vorresti si potessero esplicare solo in sguardi, come se l'interlocutore possedesse un microscopio speciale che puntato nei tuoi occhi lo facesse arrivare ad osservare il fondo della tua anima, e fosse in grado di vedere tutto e di comprendere esattamente tutto ciò che vede.
Torni a casa, apri la veranda per ritirare gli indumenti che avevi steso e dal condominio di fronte senti un uomo e una donna che litigano. Pensi che poco prima hai detto che hai imparato che una buona fetta del "mondo" è offensiva e sterile e che per reggerla e trascurarla è fondamentale avere un nido in cui rifugiarsi, in cui riappacificarsi da tutto, in cui riconoscere ciò che invece ti può rendere felice; e per questo continuare a sceglierlo e proteggerlo anche se significa setacciare persone luoghi situazioni, con un setaccio dalla trama molto larga che fa scivolare via tutto tranne le rare pepite d'oro, rare appunto.
Chiudo la veranda in tempo zero perché quelle voci mi provocano un istintivo fastidio. Dolcissimo, nel silenzio di casa, il rumore dei miei mici che si rincorrono. Non scambierei mai il tempo in compagnia anche solo di me stessa con un tempo riempito da persone e cose che non rimangono al mio setaccio. Quello è la vera peggior solitudine.
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