domenica 23 giugno 2013

Salutare


Mia mamma da piccola mi "riprendeva" se non salutavo, e allora dicevo : Ciao!, ma tra me e me pensavo: ma che cavolo, io avevo salutato, ho sorriso!
Magari a volte era un sorriso timido, solo accennato, ma talvolta un gesto vale più di tante parole.
Ancora oggi ho questa abitudine, spesso non proferisco il ciao di rito, guardo solo negli occhi e parlano le labbra all'insù, poi quando si parla si è già oltre i saluti.

Ovviamente non è più questione di timidezza, e nemmeno di maleducazione, anzi, penso che quando si lascia solamente al linguaggio corporeo il compito di esprimere un messaggio, probabilmente significa che c'è una comunicazione ancora più stretta ed empatica, che non solo dice ciao ma anche altre cose. Per cui mi piace  molto quando qualcuno saluta me così, solitamente è un modo dei bambini.

Hanno veramente cominciato a venirmi a noia le parole inutili o superflue e ciò che deve essere sempre tradotto in millemila modi per essere colto.

mercoledì 12 giugno 2013

Fotografia

Magari non stai guardando consciamente ma gli occhi della mente guardano sempre, anche senza la licenza del pensiero senziente. Allora ti può accadere che ciò su cui non stavi puntando lo sguardo ti imponga di non considerarlo più un'immagine di fondo, che diventi invece il focus del tuo sguardo.

Sulla pellicola della corteccia cerebrale, immediatamente, si crea l'impressione data da tutti i particolari, forme colori, senza averli analizzati. Vuoi scattare una fotografia che fissi per te quell'attimo mentale. Così dopo li cerchi tutti i particolari, spezzettando mentalmente il campo della visione, perché devi capire come inquadrare, dove mettere più a fuoco, se c'è qualcosa che deve stagliarsi da protagonista oppure no. Per catturare bene l'immagine, certo, ma soprattutto lo spirito.

Ciò che forse differenzia un fotografo bravo da uno eccellente sta proprio nell'avere la capacità di non dover affatto pensare troppo su quando, come, dove, perché scattare. Nell'avere questa simbiosi benedetta tra il percepire coi sensi e restituirli fedelmente attraverso un mezzo fisico. 

Io non sono proprio capace a fare certe foto, come chiamarle..., ah si ecco, le foto emotive. Click e ciao, finita la poesia. Me ne viene qualcuna decente ogni tanto, per errore, magari se mentre sto scattando come secondo me potrebbe andar bene, starnutisco et voilà, afanculo le mie elucubrazioni da Newton dei poveri.

Prima c'era un cielo con uno spicchio di luna talmente fine che pareva solo l'unghia di un bambino caduta giù da un fiocco quasi impercettibile di cotone rosato di una nuvola, eppure era la luna, bella, bella soltanto come può esserlo la luna, in qualsiasi sua forma. Stava lì a mezz'aria, incollata, per non cadere giù, nella polvere di cumuli più scuri che l'avrebbero adombrata.


E poi sfrecciavano uccelli frenetici, puntini alti, sopra a tutto, alle nuvole e alla luna. Come se col loro volo di scheggia volessero affermare che il cielo di primavera è loro e di nessun altro.


Fortunatamente oltre alla fotografia esistono le parole, con loro mi destreggio meglio per "restituire" certe immagini.
Ed è provvidenziale che esistano mezzi diversi, perché a volte, dentro, si creano dei cieli che, da fuori, è un peccato non li si possa vedere.