venerdì 11 marzo 2016

Apologia della corsa


Quando ti dicono: 
-ma non ti annoi ad andare a correre?
-piove, come vai a correre?!
-tu non sei a posto a fare tutti sti chilometri
La cosa da dire invece sarebbe: Perché corri?
A chi corre gli vedrai andare in midriasi la pupilla a questa domanda.

Quello che ti porta ad iniziare può essere voglia di fare un po' di attività fisica facilmente abbordabile per costi e strutture, serve solo una strada, o scaricarti dalle tensioni attraverso una sana fatica, oppure ancora perdere peso, serve lo sport di lunga durata in aerobiosi.
Ad ogni modo, la corsa all'inizio farà di tutto per farti desistere, 1 solo km sembra già così dannatamente lontano, a te non solo non interessa sapere quale sia la tua velocità media (anzi, pensi alla profonda ingiustizia di non misurarla convenzionalmente al centinaio di metri), ma non ti poni nemmeno una distanza da raggiungere, la sessione per te può benissimo considerarsi conclusa quando inizi a sentirti come se un paranco ti avesse agganciato le gambe, o quando vorresti che dal cielo ti venisse giù la mascherina come quella degli aerei e con quel poco di sangue ed ossigeno che ti arriva ancora al cervello pensi che non sarebbe male se i corsi preparto, dove ti insegnano a respirare anche nel completo affanno, fossero aperti a tutti.

Se decidi di essere più stronzo di lei e di non desistere, da essere la tua peggior nemica, la corsa si trasformerà in un magnetico richiamo che non puoi più smettere di assecondare, aprendoti i canali di una comunicazione esclusiva: quella col tuo corpo. Te lo porti dietro da anni, è perennemente con te da sempre, eppure ti sembrerà di riscoprirlo in ogni sua fibra, inizierai a parlarci e ad ascoltarlo.
Sarà un con/tatto nuovo.

Già dopo pochissimo che le tue gambe hanno iniziato ad andare, la corsa fa un'altra cosa come veramente poche altre sanno fare: non fa spazio tra i tanti pensieri, lei diventa il solo spazio entro cui si muove anche la tua mente. Persino quelle cose che magari dentro di te, fino a un attimo prima, urlavano, è come se si liquefacessero assieme al tuo sudore.   

Il mio primo momento preferito è quando si scioglie il nodo cuore-polmoni, fino ad allora fai sempre e comunque una certa fatica, la distanza che sei in grado di percorrere è ben più lunga di quella manciata di chilometri, eppure per quell'infinitesimale spazio ti devi faticosamente concentrare per non fare né troppo né troppo poco, non ti stai godendo veramente la corsa, devi settare attentamente respiri e battiti. Poi, il nodo si scioglie, e allora senti di poter finalmente andare, come quando la navetta spaziale abbandona i booster laterali e può continuare il suo volo fino all'orbita.

Non stai più a pensare a quanta strada hai ancora davanti, ti interessa solo che ce ne sia. E' da allora in poi che la ami la corsa. Il tuo corpo assume delle pose e una postura che sono solo tue, come un'impronta digitale in movimento e tu vai, fendi lo spazio nel tuo modo unico. E' diventata una frazione poetica la tua corsa da quel momento, un po' come le onde, o il rumore sull'asfalto degli zoccoli del cavallo in passeggiata, ti trasmette un senso di perpetuo, sarà solo il tuo corpo prima o poi a doversi fermare, il tuo animo è come se continuasse ad andare.

Così arriva il mio secondo momento preferito, l'ultimo chilometro. E' quando dai tutto, se la corsa è stata intensa, quest'ultimo tratto sarà intenso e liberatorio, si apre il NOS per il gran finale, speri soltanto che non ci sia nulla che ti tagli o intralci la strada, che interrompa la tua catena cinetica. E' il momento in cui ti viene beotamente da sorridere.

Ti fermi, ti assalgono calore, formicolii ovunque, gusto ferroso in bocca, pensi: fanculo mai più.
Ma sai di essere un pessimo bugiardo. Non andate a correre, crea dipendenza.

https://youtu.be/T2QKr7pqA_s

martedì 26 gennaio 2016

Pape Satàn, pape Satàn aleppe


Si aprono le porte della metro al capolinea, dall'alto la voce tra l'intimidatorio e il cordiale ti fa: "Stazione Lingotto. Tutti i passeggeri devono scendere dal treno", paura.
C'è chi deve ritornare nella direzione opposta ma scende comunque, guarda che non ci sia l'insegna ARBEIT MACHT FREI e poi risale.

L'umanità tutta si dirige alle scale, e se becchi il lato non dotato di quelle mobili chiama pure al lavoro, a casa, o dove stavi andando, per dire che facilmente sarai in ritardo, perché il tempo stimato per la risalita è parificato solo a quello di scorrimento della processione per le lacrime di San Gennaro.

Sulle scale della metro si assiste a un fenomeno ancora poco spiegato dalla medicina tradizionale, per cui l'articolazione tibio-tarsica responsabile dell'estensione dorsale e della flessione plantare del piede, si calcifica subitaneamente conferendo alle estremità il peso specifico di una lega di tungsteno e ghisa. Lo stesso fenomeno che probabilmente ispirò il sommo poeta allorquando nel VII canto de lo Inferno si accingeva a descrivere il contrappasso delle anime prave destinate sempiternamente a spingere enormi pesi di materia inerte, che fu poi ripreso con fortuna da Tolkien nella scena in cui Frodo e Sam, ormai allo stremo delle forze, devono risalire le pendici del monte Fato nella terra di Sauron, e noto ancora ai giorni nostri come "culo pesante".

Il girone è superato, resta ancora una rampa prima di uscire a riveder i tornelli. Accanto all'infingardo scalino è finalmente nuovamente disponibile la scala mobile e lì si dirotta il 95% delle genti. Posso dare tutto nello scatto finale lungo la via meno battuta.

Sai che figurademmerda se mi inciampo mentre salgo mode on step, livello advanced? Only the brave, se cado rotolo fino in fondo in maniera plateale e poi rimango inerme per ore come una larva di ape regina. La notizia farà scalpore su Leggo e Metro, arriverà a Marina Abramovic e ci metteremo d'accordo per una performance artistica sulla società nichilista.

Ci sta.